Plinio Perilli
Giunto, come esito di una lunga ricerca alla pittura astratta – acquisizioni di segni e colori, “vibranti in sequenze con ritmi quasi musicali” – non racconta più, per così dire, la realtà per immagini, ma configurando ormai esse stesse una realtà interiore…Jung direbbe immagini interiori , archetipi definitivi, “Rhodesia” è olio su tela, e in esso vince lo struggimento della gamma dei verdi, già chiari e ancora in cerca di luce…”Venezia” è caleidoscopio, un tunnel quasi da varcare, tra psiche e laguna. A destra il cielo, l’azzurro acquatile e in sospiro; a sinistra una marcita di malessere, contorsione di colori plumbei,macerati in se stessi…”Roma”, ancora, è un dissidio tonale:niente a che fasti della Storia o sue vestigia! L’olio vira al marrone rugginito, poi si corrompe di grandi macule nere e blu scure, sprezza ogni idea d’armonia. Anche “New York” scava come in un subcosciente cromatico che s’erge di azzurri inquieti, lo skyline è annullato in un infittirsi e brulicare di stati d’animo…che boccioniani hanno aperto il secolo e ancora bruciano se stessi, come fotoni d’un inesorabile serpente emotivo. “Città operaia” intarsia fatica e colori caldi; “Carnevale” solfeggia lieto, e ne fa letizia. Poi “Il drago” ruggisce viola, s’infabula magico e irruento. “Il cavallo azzurro” ci galoppa dentro…